Stanford: guns n’ roses.

Unbelievable. Da non crederci. Gli Stanford Cardinal hanno vinto la Pac12. “Campioni di Conference 2012”, meritatamente, ché nel football come nella vita non si raggiungono i traguardi importanti solo grazie alla ‘fortuna’, e di certo non occorre ribadirlo a Palo Alto, sede di uno dei primissimi college a livello mondiale dal punto di vista accademico (costantemente nei primi tre posti della Academic Ranking of World Universities ndr) ma anche dell’unica squadra di football NCAA a poter annoverare 4 quarterback selezionati alla prima chiamata assoluta in un draft NFL, con l’ultimo di questi signori (sì… proprio il signor ‘Luck’) che ovviamente nella sua breve carriera collegiale non è riuscito a condurre i compagni al titolo di conference, segno appunto che la ‘Fortuna’ da sola non basta per vincere, persino quella stampata sulla schiena di un campione in grado di elevare un programma così chiuso in entrata (con ovvie ripercussioni sul vitale recruiting ndr) a livelli mai raggiunti prima in oltre 120 anni di storia, per un trend che continua oggi con la 3^ partecipazione consecutiva ad uno dei principali Bowl del football universitario.

‘Fortuna’ che però talvolta può essere confusa con perizia di squadra o dei singoli, per esempio con l’abilità di mantenere il sangue freddo nel calciare un decisivo field goal o con la destrezza nell’eseguire uno scontato (ma di certo non al college…) extra-point, specie in circostanze da ‘dentro o fuori’, quando la pressione è tanta; ovvero con le reali capacità balistiche di un atleta-studente che con ogni probabilità nei suoi anni a venire non farà il ‘kicker NFL’ di professione e pertanto non merita certo invettive se non riesce a far meglio che colpire un palo su un tentativo da una distanza pur sempre superiore alle 40 yard (l’upright sinistro centrato dal K Maldonado di Oregon all’overtime dello showdown del 17 novembre – ndr), figuriamoci poi se non riesce a ‘metterla tra i pali’ quando la distanza stessa aumenta oltre le 50 (il FG tentato da Ka’imi Fairbairn di UCLA, uscito wide left a pochi secondi dal termine della Finale di Pac-12 del 30 novembre – ndr). Alla fine infatti stiamo pur sempre parlando di Football universitario, sport giovanile con interpreti ventenni, e un motivo ci sarà se quel solitario e difficile ruolo in NFL è ricoperto solo da pochi eletti, che siano stati selezionati con una rarissima prima scelta al draft (Sebastian Janikowski dei Raiders – ndr) o che arrivino al professionismo da perfetti sconosciuti ancorché generosamente dotati da madre natura (Zuerlein dei Rams, “Greg the leg”, proviene da un piccolo college di II^ Divisione), mentre nella sola FBS Division-I ci sono almeno 240 ‘laureandi’ che si allenano dopo le lezioni a calciare palle ovali tenute in verticale dai rispettivi ‘holder’. E chissà quanti avranno criticato anche Jordan Williamson, kicker dei Cardinal giustamente esaltato dai compagni e abbracciato a fine gara in diretta nazionale dall’HC David Shaw dopo aver segnato il calcio da 3 punti più importante dell’intera stagione di Pac12, quello che ha permesso a Stanford di sbancare Eugene, Oregon, regalando ai suoi sostenitori il più dolce e inaspettato upset dell’anno, figlio nondimeno di una partita quasi impeccabile da parte della difesa; lo stesso Williamson che aveva sbagliato 2 field goal decisivi (uno allo scadere del 4° quarto da 35 yard, uno da 43 yard in OT – ndr) nel Fiesta Bowl del gennaio 2012 contro Oklahoma State, ultima partita con questa maglia di Luck, e pazienza se era ancora un freshman alla prima esperienza di postseason. In effetti, come più volte evidenziato dagli stessi fans, la ‘fortuna’ non ha niente a che fare con tutto questo…

It’s so easy

Certo fa strano che il titolo di conference sia arrivato proprio nell’anno in cui Luck ha salutato l’ateneo, ma è altrettanto evidente che ci sono ragioni precise che hanno portato a questo fantastico risultato. Ragioni che partono innanzitutto dalla straordinaria difesa giocata dai Cardinal in questa stagione, possibile grazie anche ad alcuni interessanti giovani innesti nel roster a disposizione. E in tanti ritengono che questa squadra avrebbe potuto tranquillamente ambire alla Finale Nazionale se Luck fosse rimasto per il suo ultimo anno di eleggibilità e si fosse quindi potuta affiancare sin dall’inizio della stagione l’efficiente pro-style offense da lui diretta nell’ultimo triennio ad una “coprotagonista” tanto efficace come la defense attuale, reparto che può disporre di alcuni prospetti intriganti anche in chiave futura, non solo nel pacchetto linebackers già ampiamente considerato in preseason, ma anche tra i promettenti defensive backs e tra i mai abbastanza pubblicizzati defensive linemen, ragazzi che hanno dimostrato sul campo di meritare quella considerazione che gli sportswriters non gli avevano adeguatamente concesso sulla carta.

La difesa (alla vigilia del Pac12 Championship Game Stanford aveva la miglior difesa contro le corse dell’intera nazione, poi un paio di big plays dell’All America RB Franklin di UCLA l’hanno relegata all’attuale 3° posto, subito dietro Alabama e BYU, eppure sopra all’altra imbattuta finalista Notre Dame – ndr) è risultata infatti la principale artefice di questa felice annata, chiusa con l’impronosticabile per la vigilia record di 11-2, con le uniche sconfitte subite fuori casa in partite peraltro condotte dai Cardinal nel punteggio (il 27 settembre a Seattle da Washington in un finale trilling e il 13 ottobre a South Bend da Notre Dame con il discusso “td-fantasma” in overtime nell’ambito di un’azione forse fermata troppo presto dagli arbitri – ndr), e con un ranking tra l’altro inferiore a quello delle ultime due stagioni (entrambe terminate 11-1 prima dei BCS Bowl disputati), quando le speranze di Luck e compagni di aggiudicarsi la conference e magari anche un posto nel NCG si erano sempre dovute infrangere contro la zone-read option di Oregon, ad onor del vero una delle squadre più spettacolari viste in anni recenti a questi livelli.

E infatti la chiave del successo attuale è stata proprio riuscire a fermare la veloce run-offense di Oregon (il dato più sorprendente sono le appena 29 yard conquistate in 15 portate ‘outside the tackle’ dai Ducks, che in tutto l’anno avevano una media superiore alle 100 yard per ciò che riguarda le corse ‘all’esterno’ – ndr) senza nemmeno subire quei micidiali bubble screen che avevano fatto la differenza negli incontri precedenti. Il tutto grazie ad un’accresciuta rapidità di esecuzione, specie da parte delle secondarie di Stanford. Tante le giovani ‘pistole’ Cardinal che meritano una menzione d’onore per la performance 2012: nella linea difensiva dell’appena premiato Defensive Line Coach of the Year Randy Hart, vanno assolutamente segnalati i due defensive end, il jr. Ben Gardner (autore di una season da  14.5 TFL con 7.5 sack, 1 FF, 1 FR e 4 PBU), ed il red. soph. Henry Anderson che ha avuto una crescita esponenziale nelle ultime 6 partite stagionali (nelle quali ha registrato 11.5 TFL dei 13 totali con 4.5 sack sui 5.5 complessivi, oltre a 4 PBU). Tra i linebacker, accanto alla produttività dei senior Shayne Skov (73 placcaggi, top di squadra, con 9 TFL e 2.5 sack) e Chase Thomas (71 tackles, 7.5 sack, oltre ad 1 intercetto, 1 FF, 2 FR) si è registrata la definitiva esplosione del jr. Trent Murphy (18 TFL con 10 sack, 6 QbH e 1 intercetto riportato in TD da 40 yards). Ma un contributo fondamentale lo hanno fornito soprattutto le due nuove safety, con il soph. SS Jordan Richards che ha sommato ai 61 placcaggi (3° di squadra) ben 15 passaggi difesi (3 intercetti e 12 PBU), mentre il red. soph. FS Ed Reynolds ha riportato 6 intercetti (3 direttamente in touchdown, e nella Finale contro UCLA un possibile 4° è stato impedito solo da un tackle a mezza yarda dalla linea di meta) per 301 yards complessive. Benissimo anche i cornerback, non solo per la migliorata passing defense ma anche per l’importante contributo fornito in run defense, aspetto come già ricordato basilare specie nel big match contro i Ducks: il jr. Terrence Brown ha chiuso la stagione con 60 TKLs e 10 PD, il sr. nickelback Usua Amanam con 10.5 TFL, 7 PBU, 4 sack e 3 fumble recuperati, mentre si sono rivelati due “star in the making” il soph. Wayne Lyons e soprattutto il true freshman Alex Carter (3 fumble forzati e 3 TFL, 2 di questi proprio nella partitona di Oregon) un figlio d’arte che ha conquistato il posto da titolare a destra e dal futuro che si prospetta a dir poco radioso.

Per ‘fortuna’ coach David Shaw, giustamente premiato per la seconda volta consecutiva miglior HC di Pac12, ha scelto bene anche in attacco dove è risultato determinante il già anticipato avvicendamento nel ruolo di quarterback titolare, passato proprio alla vigilia della fase calda della stagione dal jr. Josh Nunes al redshirt freshman Kevin Hogan. Quest’ultimo ha orchestrato la offense in maniera egregia, dandogli l’imprevedibilità e la pericolosità che aveva svanito con Nunes. Il bottino accumulato da Hogan nelle 4 gare decisive contro Oregon State, Oregon e nelle due sfide a UCLA (l’ultima partita in schedule a Los Angeles ed il rematch di 6 giorni dopo nella Finale di Pac12 a campi invertiti – ndr) è stato di 780 yard lanciate con un eccellente 71.6 % di passaggi completati arricchite da 6 td-pass (a fronte di 3 intercetti), più altre 145 yard corse con 2 rush TD. Statistiche impressionanti se consideriamo che quelle erano anche le sue prime 4 partite da titolare al college, due delle quali affrontate oltretutto sotto una fastidiosa fredda pioggia di novembre, caduta saltuariamente a caratterizzare il gioco come spesso accade nel mese di gran lunga più impegnativo della stagione di college football, visti gli importanti scontri di conference ed i rivalry che solitamente prevede.

Con la season 2012 che sarà indubbiamente ricordata come quella dei “freshmen quarterback”, anche per la vittoria dell’Heisman trophy da parte di Johnny ‘Football’ Manziel, possiamo tranquillamente affermare che a Stanford è già esplosa la “Hogan-mania”, anche se questo ragazzone pacato nato in Virginia e cresciuto a Washington D.C. non indossa la bandana e non porta i baffi a ferro di cavallo, né si strappa la maglietta durante uno stacchetto introduttivo con sottofondo Real American di Rick Derringer… Aumentando però la sua fama, chissà che qualcuno non lo chiami ‘Hulk’ prima o poi….

Nonostante la scelta di puntare su Hogan, premiato giustamente MVP della Finale di Conference, abbia rappresentato la reale svolta stagionale per Stanford, il vero trascinatore, arma principale nella power run dei Cardinal, è stato ancora una volta il sr. RB Stepfan Taylor (1.442 rushing yards con 12 TD, più 270 yard ricevute con altri 2 TD) che a questo punto, considerate le caratteristiche tecniche esibite (vision, patience, protezione della palla e chiare doti da pass-blocker) si presenterà al draft 2013, se non da top prospect, di certo come uno dei back più completi presenti nel board e tra i più pronti al “benvenuto nella giungla” riservato ai rookie al loro primo impatto con la NFL.

Un altro prospetto che farà sicuramente gola a tante franchigie professioniste, se come pare scontato deciderà di dichiararsi, è il jr. TE Zach Ertz (837 yard e 6 TD) appena il 7° unanimous All American nella storia di Stanford (gli ultimi 3 sono stati il G David DeCastro nel 2011, il RB Toby Gerhart nel 2009 e quindi il QB John Elway nell’ormai lontano 1982 – ndr). Ertz ha un pedigree in pro-style offense che nasce addirittura dalla high school (Monte Vista HS, Danville, CA) ed è un tight end completo, forse più del suo predecessore Coby Fleener, selezionato dai Colts all’inizio del secondo round quest’anno per andare a fare coppia ad Indianapolis proprio con Andrew Luck.

La offensive line invece, nonostante la stagione di transizione e parziale ricostruzione cui era attesa dopo aver regalato ai professionisti due elementi del calibro di DeCastro e Martin, non ha smesso di funzionare a dovere ed è rimasta il fulcro dell’attacco, con il jr. OG/OT David Yankey (6-5, 301 lbs) che si è aggiudicato il Morris Trophy, ambito premio di Pac12 che viene assegnato ogni anno al miglior Offensive lineman (e al miglior Defensive lineman) della conference, con i voti elargiti dai DL (o viceversa dagli OL) avversari, e anche per questo molto considerato dai giocatori. Linea offensiva nella quale si sono intravisti anche gli high recruit 2012 (ovvero dei true freshmen, una rarità per un college con il playbook più ampio di tutta la NCAA – ndr) Andrus Peat, Kyle Murphy e Joshua Garnett dei quali torneremo sicuramente ad occuparci l’anno prossimo.

Queste e altre non menzionate ma rilevanti componenti hanno non solo permesso a Stanford di rivincere la Pacific dopo 13 anni, ma come dicevamo all’inizio di giocare in un altro Bowl BCS per il terzo anno di fila (Orange 2011, Fiesta 2012) e stavolta nello storico Rose Bowl, “The Granddaddy of Them All” come è chiamato per essere il bowl più longevo (la prima edizione risale al 1902. Dal 1916 si disputa ogni anno, possibilmente il giorno di Capodanno – ndr) e da molti considerato il più prestigioso. Il suo simbolo è la rosa, la stessa che capeggia l’entrata principale dell’omonimo stadio di Pasadena (L.A.) e per tale motivo ai vincitori delle squadre che si aggiudicano la Pac12 e la Big Ten (le due conference che detengono l’AQ all’evento – ndr) vengono distribuite appunto delle rose rosse, come quelle ostentate dai Cardinal nel dopogara della Finale di Pac12 mentre “The Farm” si tramutava di colpo in Paradise City.

E a Pasadena l’avversario sarà lo stesso di 13 anni fa, vale a dire Wisconsin, che oggi come allora basa la sua offense sulle scorribande di un running game di grande spessore. I Badgers, che hanno partecipato al B1G Championship giovandosi dei postseason ban inflitti per alcune note vicende alle avversarie (Ohio State e Penn State) che le erano arrivate davanti in Leaders Division, hanno nondimeno impressionato demolendo 70-31 Nebraska e dunque si presenteranno per la terza volta consecutiva al Rose Bowl, stavolta con l’improbabile record complessivo 8-5 (mai nessun college prima d’ora aveva giocato il Rose con 5 sconfitte stagionali – ndr) ma con l’ovvia intenzione di portarsi finalmente a casa il trofeo dopo le cocenti delusioni con TCU (2011) e Oregon (2012).

Dal canto suo Stanford è da oltre 40 anni che non vince il Rose Bowl (l’ultima volta fu con l’accoppiata del 1970 e 1971 quando il nickname della squadra era ancora Indians – ndr) e vorrebbe riscattare la sconfitta (9-17) subita proprio da Wisconsin il 1° gennaio del 2000. Data la rinomata forza delle rispettive trincee, sarà una battaglia dura e ci sono tutte le premesse per assistere ad una grande partita di football. Ovviamente mi auguro di brindare al 2013 nel miglior modo possibile, come credo altrettanto sogna di fare un mio amico che è un grandissimo sostenitore di Wisconsin. Speriamo soprattutto di divertirci e che alla fine prevalga il migliore.

Mi gusterò l’evento in diretta (kickoff ore 2 p.m. di Los Angeles, le 23 italiane di Capodanno) e certamente sarò completamente elettrizzato, anche se davanti ad uno schermo a decine di migliaia di chilometri di distanza mi sembrerà quasi di essere un tifoso ‘estraniato’.

Fiducioso di festeggiare un altro trionfo dei miei ragazzi terrò pronta una buona bottiglia in fresco, ma se pure così non fosse la userò certamente lo stesso. Sicuro che il futuro riserverà altre fantastiche sensazioni, come quelle vissute in questa indimenticabile annata, vorrà dire che nei versi nostalgici di qualche vecchia canzone troverò il modo di stemperare il gusto un po’ amaro di quelle volte in cui si dice “non è andata”…

“You’ll feel better tomorrow, don’t cry tonight. Where do we go now, sweet child o’mine?.

 

http://vimeo.com/54804577