L’ULTIMO DEI NEURONI (BLU)

La partita di domenica mi ha ricordato i bei tempi di quando andavo a scuola, soprattutto quei giorni in cui c’erano le interrogazioni; il professore ti chiamava e dentro di te svenivi perché sapevi di non avere studiato, quindi non ti restava altro da fare che improvvisare, farfugliare qualcosa, rimasticare roba vecchia nella speranza che l’insegnante credesse di avere di fronte qualcuno almeno da cinque e mezzo se non un sei politico, giusto per pietà.

Ecco, i Panthers al bluff non ci hanno creduto e si sono comportati di conseguenza.

Durante l’intervallo il commentatore, davanti a Manning e Gilbraide che confabulavano, ha detto: “I Giants stanno cercando risposte”. Peccato che i Panthers abbiano continuato a porre domande e noi a farfugliare roba vecchia opponendo argomentazioni che sembravano direttamente partorite da Manny, il bradipo de “L’era glaciale”.

Non ho la minima intenzione di parlare di numeri perché è inutile. Quando guadagni 18 yds in un tempo (non so quante siano state a fine partita e davvero non ho voglia di andare a informarmi, capitemi) tutto il resto passa in secondo piano. È difficile fare una disamina con certe cifre, e stavolta è persino arduo dare delle colpe; per dire, un 38 a 0 non può essere addebitato alla difesa che, per un po’, ha retto, ma quando un reparto già non brillante di suo è costretto a stare in campo il 95% del tempo, alla lunga sappiamo tutti come va a finire tra stanchezza e giocatori che mollano. Basta la cattiva forma di JPP, un Tuck di cui resta solo la maschera, l’assenza di un LB degno di questo nome e secondarie a dir poco approssimative?

No.

Nei vari siti che si occupano dei G–Men la croce è stata buttata addosso alla OL, principalmente. Certo, sembravano cinque Manny in vacanza, ma non dimentichiamo che quasi tutti c’erano anche i due anni precedenti, quelli in cui Eli ha fatto i numeri che ha fatto, ben protetto e coccolato, e non è che stiamo parlando di giocatori pronti al pensionamento perché quelli, in buona parte, li abbiamo già mandati a casa. Basta questo?

No.(a seguire foto della OL in un duro allenamento)

Dallas+Cowboys+v+New+York+Giants+_Nfu9P4Gdrnl

Eli, a un certo punto, ha perfino rinunciato a tentare la fuga quando, con un secondo netto di tempo in media dopo lo snap, aveva almeno tre giocatori di Carolina addosso, e questo per tutta la partita. Credo si siano fermati a sette sack; scusate ma non riesco a essere più preciso dato che a un certo punto sembrava che la tv mandasse un replay continuo con Eli a terra o che sparava via il pallone per non doverselo mangiare. È come se una decina d’anni non siano passati dal suo esordio contro Phila, quando il film proiettato fu lo stesso, come il trattamento. Diamo la colpa a lui degli zero punti?

No.

E gli altri? Wilson, Cruz, Nicks, Randle, Myers… Se la palla non si vede non metti su numeri, ovvio, però traumatizza vedere un Nicks verso il quale il primo lancio viene tentato all’inizio dell’ultimo quarto; Cruz e Randle che vagavano alla ricerca dell’ovale perduto e Wilson che almeno può essere soddisfatto di non aver portato a casa neanche un fumble e in più una manciata di yds sudate (è anche sfigato, per una bella corsa che aveva fatto con tanto di TD…). Ah, mi dicono dalla regia che qualche down l’ha giocato pure Jacobs; bene, in attesa che il nuovo acquisto faccia la differenza, non prima del 2020 quando giocherà nella Lega Nazionale delle Case di Riposo (nel frattempo sta facendo pratica), passiamo oltre. Colpa loro?

No.

Dunque, poi ci sono i Carolina Panthers, una squadra che guardo sempre con molta simpatia dato che schiera tre o quattro giocatori per i quali stravedo, ma dubito, considerando anche le prime due partite, che Rivera riuscirà a conservare il posto. È una squadra con qualche problema e, mi spiace dirlo, affiggere nello spogliatoio il nostro scalpo non è che faccia acquisire un gran punteggio in stima, oggi come oggi. I New York Manny’s non si incontrano tutte le domeniche.

Non hanno colpe i Panthers, se non di aver giocato come potevano ed è stato sufficiente per fare un figurone.

No, neanche loro.

Chi resta? Ah, mi sono dimenticato di gettare uno sguardo sulla nostra sideline.

Vi vedo, Coughlin e Gilbraide! È inutile che cerchiate di nascondervi dietro le panchine perché le luci dei riflettori sono accese e puntano proprio lì. Ora, se io fossi un complottista, uno di quelli che pensa sempre male, direi senza ombra di dubbio che la partita vista domenica è la classica prestazione di atleti che giocano contro l’head coach: svogliati, senza intensità, indifferenti a qualsiasi richiamo tanto che, davanti a certe prestazioni, non puoi non pensare che lo facciano apposta.

Ma è solo un pensiero fugace perché chi, come me, è passato attraverso l’èra Fassel, sa cosa vuol dire avere una fronda nello spogliatoio, quando i capitani ti remano contro e l’idolo di New York, Tiki Barber, a ogni giornalista dichiara che se tu sparissi dormirebbe bene lo stesso. Fu dopo quel periodo che arrivò Coughlin, perché aveva la fama di sergente di ferro e serviva qualcuno in grado di rimettere in riga lo spogliatoio. E non dimentichiamo che molti dei giocatori in campo oggi  giocano da tempo con lui e mai, ch’io sappia, si sono sentite voci di malumori.

Ma allora come si spiega questa Caporetto biblica? Se c’è una cosa che negli anni il nostro coaching staff è sempre riuscito a fare, è stata sistemare quel che non andava, cambiare rotta, stimolare l’orgoglio. Ma una scena domenica non m’è piaciuta: vedere Coughlin che a un certo punto guardava la partita come se fosse un torneo di burraco, senza neanche incazzarsi. Ed è un bruttissimo segno, molto, perché davanti a una prestazione simile (a dire il vero mi sarei aspettato che togliesse tutti i titolari, come gesto forte e simbolico) la scossa, la sterzata, può arrivare solo da un allenatore con certe credenziali, d’esperienza, un leone navigato che non ha mai guardato in faccia nessuno. E, ripeto, quando molti dei nostri giocatori che hanno deliziato lo stadio dei Panthers sono gli stessi che abbiamo visto nei due anni precedenti (e che quindi si suppone non siano diventati brocchi tutto d’un tratto), non c’è discorso tecnico che tenga, né di qualità degli stessi perché anche se sei una schiappa si vede se in campo dai l’anima, quindi di tutto ciò non resta che l’inspiegabile atteggiamento mentale, l’inerzia da gambero che abbiamo fin dalla preseason e che si giustifica soltanto con un coaching staff che per il momento non si è dimostrato in grado di cambiarla.

In questi casi si dice che la prossima partita sarà l’ultima prova (per me basterebbe anche la penultima, che con ogni probabilità Dario Argento userà come sceneggiatura per il suo prossimo film), perché se dopo quel che i nostri baldi giovani hanno mostrato in campo (il fondo del barile, è ora di dirlo) non ci sarà almeno un minimo sussulto d’orgoglio per recuperare un po’ della vergogna sparsa a piene mani, allora vuol dire che Coughlin non tiene più lo spogliatoio e che la dirigenza dovrà prenderne atto dopo dieci anni di onorata carriera in Blue. I Mara/Tisch sono sempre stati molto conservativi, ma non stupidi. Ovvio che una stagione su questi binari non potrà non avere delle conseguenze drastiche.

È così che funziona e io personalmente non ne farò una tragedia, se capiterà. A patto però che alla porta venga messo pure Reese perché al prossimo draft voglio vedere tre LB come prime tre scelte, il reparto emblema dell’involuzione della specie.

Di buono c’è che il resto della stagione (per la miseria, ancora 13) almeno potrò vedermelo con quel disincanto rilassante che ogni tanto ci vuole, nella speranza che le altre della division non ci tengano in gioco con le loro personali tragedie (sarà finalmente l’anno buono dei Cowboys? Tutte toccherà vederle quest’anno…).

Nel frattempo vado a prendermi una birra, in attesa delle pulizie di primavera.