NCAA Game Of The Week: Air Force, Navy e Army
Quest’anno ad aprire il triangolare delle accademie delle forze militari statunitensi sarà Navy-Air Force, il primo atto del Commander in Chief’s Trophy, premio inventato da George B. Simler, generale dell’aeronautica, per rendere più appetibile il confronto tra i Falcons e le altre due storiche squadre delle forze armate ovvero Army e Navy, la cui rivalità è molto più accesa ma soprattutto molto più anziana di quella con l’aeronautica. L’assegnazione diretta del premio da parte del presidente degli Stati Uniti, avvenuta sia nella prima edizione con Richard Nixon, sia in molte altre occasioni, ha dato lustro al Commander in Chief, ed ha soprattutto messo sotto i riflettori il lavoro dell’Air Force che nell’ultimo quarantennio ha non solo fatto suoi 18 trofei su 41 edizioni, ma ha anche dominato i confronti diretti con gli altri due college 24-17-0 con Navy e 29-12-0 con Army.
L’agilità che contraddistingue i ragazzi dei Falcons, dovuta soprattutto al tipo di selezione fisica richiesta per i cadetti dell’aeronautica, declinata per lunghissimo tempo con formazioni triple-option, gli ha permesso di piazzarsi negli ultimi 25 anni, quasi sempre tra le prime dieci squadre del paese per yard guadagnate in corsa. A questo va sicuramente aggiunta la peculiare posizione geografica del Falcon Stadium di Colorado Springs, posto in un avvallamento del terreno a più di 2000 metri sul livello del mare, che causa non pochi problemi di ossigenazione a chi non è abituato a queste altitudini.
L’irrompere nella vita dei due storici college militari statunitensi, Army e Navy, del terzo incomodo, ha certo aggiunto una nuova sfida affascinante alle loro schedule, ma non ha certo intaccato la storia e la gloria di questa specifica sfida che ha radici nel secolo scorso, quando nel 1890 si disputò la prima gara nell’impianto dell’United States Military Academy di West Point.
Quello che andrà a disputarsi quest’anno, il 14 dicembre a Philadelphia, è il 114mo scontro diretto tra le due accademie che ultimamente hanno spesso visto concentrarsi gli sforzi di una intera stagione in questa particolare gara. Grosso modo dall’introduzione dell’instant replay, avvenuta proprio per Army-Navy del 1963, i due college non sono stati più veramente sotto i riflettori come era successo nel passato (pensate solo alla metà degli anni ‘40 per Army, con i tre titoli nazionali). Il risorgere dei Midshipmen dal 2003 in avanti, non ha cambiato un dato piuttosto desolante ovvero che negli ultimi 40 anni, solo in due occasioni (1996 e 2010) entrambe le squadre sono arrivate alla sfida con record positivi.
Tuttavia, la gara si presenta sempre estremamente emozionante per un popolo patriottico come gli statunitensi: la sfida, nei periodi di guerra, riflette quello che sottende alle squadre, ovvero le accademie militari che formano ragazzi che poi partono soldati e, a volte non fanno ritorno. L’omaggio degli ex compagni si materializza nel portare elmetto e paraspalle in sideline, come a ricordare che anche il caduto è li con loro. A questo si aggiunge, sia per Army-Navy ma in generale per tutte le gare del Commander in Chief’s Trophy, il fatto che tutti i ragazzi che vi prendono parte, giocano a football per solo amore di questo sport, dato che di norma, i diplomati di tali accademie non diventano giocatori NFL ma, semplicemente (si fa per dire…), soldati che serviranno il loro paese. Lo sforzo dei tre programmi coinvolti si può riassumere come delle grandiose “nozze coi fichi secchi” giacchè queste tre accademie militari non possono certo sventolare la somma dei contratti stipulati dai loro eleggibili come succede dalle parti di Tuscaloosa, ma semplicemente mettere a disposizione una ulteriore esperienza formativa a dei ragazzi che volontariamente hanno deciso di intraprendere una carriera militare. L’eccellenza nel football, purtroppo per i college coinvolti, risulta sempre più rara se non un miraggio per chi non può realizzare stagioni di recruiting promettendo una formazione tecnica, tattica e fisica, che può sfociare in leghe professionistiche, ricche e famose.
Army-Navy è di fatto un campionato nel campionato del Commander in Chief, che è a sua volta un campionato a sé stante nella stagione NCAA. Il rispetto che vi porta tutta la lega è palpabile:
Army-Navy dal 2009 è stato spostato alla seconda di Dicembre, perchè Army-Navy DEVE chiudere la stagione, questa collocazione rimette la sfida in quello che era stato il suo posto per tantissimi anni, ovvero al termine della stagione regolare, anche se, per questioni di visibilità, la sfida nei prossimi anni si alternerà al Lincoln Financial Field di Philadelphia e al FedEx Field di Landover, tana dei Redskins. Questi ultimi aspetti rispecchiano quanto il Commander in Chief sia sbilanciato, come interesse generale, verso la sfida Army-Navy: le gare contro Air Force non hanno sedi neutrali ma vengono giocate di volta in volta in casa dei college (West Point, Annapolis, Colorado Springs), segno evidente che non vengono ritenute ancora delle vere gare “classiche”.
La Triple Option nei secoli. E nelle accademie…
Partiamo con una notizia recente: le accademie militari hanno rischiato di non scendere in campo per questa settimana. La sfida fra Air Force e Navy (così come quella fra Army e Boston College) è rimasta in dubbio fino all’ultimo. Proprio in questi giorni si discute al Senato la riforma del sistema sanitario, che ha di fatto messo in stallo tutte le funzioni statali “non necessarie”. Fra queste figuravano anche i finanziamenti ai programmi sportivi di Army e Air Force, ma il rischio è stato scongiurato. La partita di Annapolis, Maryland si giocherà senza problemi. Tutto esaurito e telecamere della CBS al seguito.
E annessa massiccia dose di attacco in run option per le tre squadre: le accademie militari sono accomunate dal sistema offensivo, una triple option, anche se fra le tre squadre ci sono piccole differenze di filosofia.
Il QB prende lo snap e mette la palla sullo stomaco del FB, il quale corre nel B Gap, quello fra OT e OG. La OG tuttavia non attacca il diretto avversario, ma lo lascia libero di scegliere: se il DT attacca il FB, il QB si allarga, se il DT si allarga per prevenire la corsa esterna del QB, il QB lascia la palla al FB che corre nel buco creato dal DT. Ma non è finita: se il QB tiene la palla e si avvia verso l’esterno, deve leggere ancora un altro difensore. L’OT non blocca il DE/OLB di turno lasciandolo libero di scegliere. Se il DE va per il QB, il QB effettua un pitch verso il suo RB (Quello proveniente dal back-side, mentre quello proveniente dallo strong-side agisce da lead blocker) mentre se il DE si tiene largo per prevenire la corsa esterna il QB semplicemente si infila nel buco lasciato libero dal DE. Questa strategia offensiva si definisce triple option, ed è stato un sistema utilizzato molto dagli anni ’70 in poi. Texas e Oklahoma hanno dominato la scena con squadre basate sulla triple option. La stessa formazione wishbone (Quella che prevedeva il FB al centro, e i due RB una yard alle sue spalle a forma di Y) fu perfezionata dall’OC di Texas Emory Bellard.
Come detto, negli anni ’70, fino al 2000 circa, molti dei principali programmi di football in NCAA hanno giocato e vinto con principi della triple option. L’idea di base restava la stessa, ma le formazioni erano diverse, come hanno proposto negli anni Nebraska, Colorado, e più recentemente Georgia Tech.
Come racconta Gerry DiNardo, ex HC di Colorado con cui condivise un titolo nazionale nel 1990: “Noi venivamo da anni di frustrazione: spesso eravamo costretti a lanciare sul primo down e in caso di incompleto eravamo subito al 2nd & 10. Non si può sprecare un down importante come il primo nel football, è un down troppo rilevante per l’attacco. Sul primo down la difesa non sa cosa aspettarsi, mentre 2nd and 10 favorisce la lettura della difesa. Per cui dovevamo fare qualcosa. Avevamo dato ai nostri ragazzi un credo: con le letture giuste, la triple option ci consentiva un guadagno di 4 yard ogni volta di media. Istruimmo i ragazzi a giocare 1st and 10, 2nd and 6, 3rd and 2. E dicemmo loro, se riusciamo a convertire la metà dei terzi down, saremo inarrestabili. E andò quasi in quel modo.”
Principi che come abbiamo detto erano già stati utilizzati da Texas e Oklahoma per vincere dei titoli nazionali nei primi anni ’70. Con la triple option dalla formazione wishbone, Texas dominò le scene vincendo un titolo nazionale (quello del famoso 4th and 3 convertito da Street e ottimamente raccontato da Gotta in Football & Texas) contro Arkansas, la seconda “Gara del Secolo” (La prima qualche anno prima, era terminata 10-10 fra Michigan State e Notre Dame, una partita di cui abbiamo già parlato). Furono poi i Sooners a battere gli arci-rivali Longhorns con le loro stesse giocate: Darrell K. Royal, allora HC di Texas ma fedele alla sua alma mater Oklahoma decise a dare una mano ai Sooners per salvare il posto all’HC rivale Chuck Fairbanks. Destino volle che nello staff di Oklahoma fosse già presente l’OC Switzer, che prese in mano la squadra portandola ai titoli nazionali del 1974 e 1975, oltre che al record, tuttora imbattuto (e lo sarà per molto ancora…) di 472 yard corse a partita.
Ma come tutti i sistemi efficaci, la triple option iniziò ad essere copiata in tutta la nazione, e il grattacapo passò ai DC di mezza America, costretti a sbattere la testa contro il muro per farsi venire nuove idee. Dapprima furono blitz dei linebacker volti a riempire ogni gap, poi fu la volta di scambi fra gli uomini difensivi di linea (il cosiddetto “stunt”) che dava difficoltà al QB perché non si riusciva ad individuare quale difensore “leggere”. Ma i coordinatori dell’attacco reagirono, importando nel loro sistema nuove giocate in mis-direction (come la famigerata Counter Trey) oppure variando formazione: come già anticipato Georgia Tech oggi corre principalmente una flexbone (quella descritta nell’immagine sovrastante) mentre altri provarono con diverse letture ma stessi principi (è il caso della I-Bone Midline Option di Nebraska).
Le difese reagirono ancora, e fu un colpo duro per la triple option: Jimmy Johnson con i suoi Miami Hurricanes iniziò ad accumulare velocità nelle sue difese, spostando recruits da S ad OLB, da OLB a DE. Con più velocità, con i CB che erano lasciati nella zona flat a prevenire le incursioni esterne, Miami dominò la scena contro squadre che giocavano in option.
Di lì il declino della triple option è stato costante, salvo rare eccezioni. Come racconta Lou Holtz: “La parola chiave di questo cambiamento è una: recruiting. Quando i ragazzi hanno iniziato a capire che con la option non avrebbero avuto quello di cui avevano bisogno per giocare nella NFL, allora hanno iniziato a scartarci. E con meno talento a disposizione abbiamo dovuto virare su sistemi più tradizionali.” Holtz aveva corso un sistema simile nelle sue fermate da HC, ma a volte costringeva la difesa avversaria a difendere la option anche se poi al Sabato non ne avrebbe fatto uso in nessuna giocata. “Ed è stata la cosa più stupida che abbia mai fatto. Se oggi avessi di nuovo in mano un programma importante, la prima cosa che farei sarebbe installare un sistema in option.”
Anche Gerry DiNardo è d’accordo: “Una volta che i ragazzi hanno capito che il nostro sistema non li avrebbe portati in NFL, abbiamo iniziato ad avere problemi. Non eravamo attraenti per il QB forte, non avrebbe passato abbastanza nel nostro sistema. Il LT dominante ci scartava perché non avrebbe imparato il pass blocking. Il RB di talento non ci guardava perché non avrebbe avuto abbastanza portate, o sarebbe stato considerato un prodotto del sistema. E questo contribuì al suo declino.”
Oggi infatti questo sistema resta in voga solo per qualche squadra. Le accademie militari ne fanno largo uso, per vari motivi.
Troppo difficile reclutare uomini di talento nella linea offensiva date le particolari richieste per gli OL: veloci, agili lateralmente, atletici abbastanza da portare i famigerati cut block anche al terzo livello della difesa. Per questo si vedono OT di 250 libbre nelle accademie.
Impossibile reclutare un QB o RB di gran talento, data la leva obbligatoria dopo i quattro anni di gioco.
Una routine della vita quotidiana della recluta media che si riflette anche sul campo di gioco. Pensateci un attimo: la triple option è un sistema in cui non bisogna pensare. Se il difensore fa un movimento faccio la scelta A, altrimenti cambio e scelta B. Un sistema quasi meccanico, senza spazio per interpretazioni e i cui attori non devono avere troppo talento per eseguire. Non ci sono letture di coperture, complicati blitz, niente. Solo l’applicazione di regole precise, scandite come la vita stessa della recluta da orari e ordini rigorosi.
E dunque la triple option è per molti oggi un attacco per le accademie, o per quei team che hanno meno talento dell’avversario.
Secondo Paul Johnson, proprio Miami ha contribuito al declino della triple option, ma Johnson ha una visione più ampia: “Nessuno corre più la triple option perché Miami ha battuto un paio di volte un attacco option di Oklahoma con un gioco aereo formidabile. Ed allora i coach hanno iniziato a copiare l’attacco aereo di Miami creando altri sistemi. Tutti la vedono come un attacco per giocatori piccoli o meno talentuosi ma non è così.” Johnson ha dimostrato come siano errate queste teorie nel suo stint a Georgia Southern, un programma FCS con cui ha vinto due titoli nazionali, cinque di conference con 62-10 di record generale. “Ed avevamo la squadra più talentuosa di tutte, che avrebbe vinto anche con altri sistemi.”
Johnson è stato poi assunto dalla Naval Academy per dare linfa al loro programma. I Midshipmen chiusero il primo anno con Johnson sul 2-10. Da allora in cinque anni, 43-19.
Questo ha consentito a Johnson di essere assunto come HC da Georgia Tech, che resta uno degli ultimi feudi della triple option “classica” giocata dalla flexbone. Nel suo settimo anno in carica Johnson continua a vincere con la sua cara triple option, confutando il teorema per cui questo attacco resta solo un pezzo di storia o roba per le accademie.
L’appuntamento con Air Force @ Navy è fissato per Sabato 5 Ottobre alle ore 17:30 sulla CBS.
Informazioni liberamente riadattate da “Blood, Sweat and Chalk” di Tim Layden, che invito caldamente ad acquistare, sono state usate nel report.
Parte storica a cura di Gataz13.
Per la prossima settimana NCAA Game Of The Week si trasferirà alla Texas State Fair di Dallas per parlare della Red River Rivalry: Oklahoma vs. Texas.