Kurt Warner

Una nazione giovane non ha una vera mitologia, non ha eroi che affondano le radici della loro esistenza in racconti orali tramandati di generazione in generazione.
Una nazione giovane ha i suoi ragazzi e le loro storie, i loro sacrifici ed i conseguenti successi, a volte in campi apparentemente così banali come lo sport.
A volte questi ragazzi, per la carica simbolica delle loro gesta, toccano la mitologia con un dito.
Diventano esempi, diventano rappresentazioni.
Diventano, essi stessi, eroi.

Gli inizi

Tra Iowa ed Illinois, la terra è piatta e le distese infinite di campi prendono tutto l’orizzonte, il Mississippi passa già pigro ma freddo. Burlington si specchia nelle acque del grande fiume padre, ed è qui che prende inizio la nostra storia, nel 1971: il 22 giugno a Burlington nasce Kurtis, che presto si trasferirà a Cedar Falls per frequentare la locale Regis High School e dedicarsi allo sport. Gli piace il basket, ma sogna un futuro da QB, ruolo in cui diventa il titolare alla Regis.
Dato che non se la cava affatto male in quel ruolo, quando Warner termina il suo percorso di studi, nel 1990, il suo sogno sarebbe di giocare per la University of Iowa. Ma gli Hawkeyes non sono dello stesso avviso, così come tutte le altre scuole di Division I. La University of Northern Iowa, sempre a Cedar Falls, gli propone una borsa di studio e Kurtis accetta, pensando che avrebbe almeno giocato un sacco di tempo in una scuola così piccola. Ma finisce a guardare in sideline all’UNI-Dome, per tre anni.
Nel suo anno da senior viene promosso quarterback titolare e alla fine della stagione viene nominato Offensive Player of the Year della Gateway Conference, ravvivando le sue speranze di trovare un contratto in NFL. Ma solo una stagione da senior, per quanto buona, e giocata in un college di così piccole dimensioni, difficilmente garantisce una scelta nel draft, ed infatti Kurtis rimane a sedere per tutto il tempo. Viene comunque invitato ad un tryout dai Green Bay Packers, stando spalla a spalla con Brett Favre, su cui ogni considerazione pare superflua, Matt Brunell, che giocherà tre pro bowl, e Ty Detmer, vincitore di un Heisman Trophy, sul quale la dirigenza ha dei dubbi riguardanti la fisicità, ma non certo riguardo al talento. L’allenatore dei QB dei Packers è Steve Mariucci, che riconosce nel ragazzo delle qualità, ma Green Bay non può permettersi il lusso di sgrezzarlo a proprie spese.
Warner torna a Cedar Falls dove diventa assistente allenatore a Northern Iowa e magazziniere al negozio di alimentari HyVee locale, a cinque dollari e mezzo l’ora. I suoi colleghi sognano di diventare direttori del supermercato, lui sogna di diventare una star della NFL. Vicino a casa sua c‘è una squadra di Arena Football, gli Iowa Barnstormers, e allora decide di provare a farsi mettere sotto contratto.
Inaspettatamente, per uno che mette a posto scatoloni di patatine, in 2 anni riesce a guidare i Barnstormers ad altrettante finali con prestazioni tanto memorabili da spedirlo di filato nei Top 20 players di AFL di tutti i tempi.
Ma da qui ai pro la strada non è lunga, è lunghissima. Un po’ come diventare grandi tennisti iniziando col ping pong. Nel 1997 Warner viene invitato dai Chicago Bears per un nuovo OTA, ma in luna di miele dopo il matrimonio con Brenda, un ragno lo punge sul braccio con cui lancia, rendendogli impossibile partecipare ai tryout.
Anche i Rams lo chiamano per un provino, ma le sue sensazioni a riguardo lo lasciano molto perplesso. A St. Louis allena Dick Vermeil, un coach su cui si potrebbe scrivere un’enciclopedia, ma che ricordiamo in questo caso per aver pescato, all’epoca di Philadelphia, il capitano dello special team praticamente ai giardinetti. Vermeil ammette che non considera i Rams uno squadrone, quindi è normale fare qualche scommessa in più, soprattutto perché vede in Warner ottime doti.
Per sbozzarlo, c’è pronto un biglietto aereo per l’Europa, dove la NFL organizza un torneo promozionale chiamato NFL Europe: Warner giocherà negli Amsterdam Admirals, assieme ad un altro personaggio dalla carriera “quasi magica” come Jake Delhomme. Agli Admirals, sotto Al Luginbill, porta la squadra alla miglior stagione dall’esordio, e guida la Lega in passaggi e TD.
I Rams lo caricano sul primo aereo e lo riportano in Missouri, tuttavia Warner è il terzo QB a roster, dietro Tony Banks e Steve Bono. In una stagione lancia undici volte, con quattro completi.
Ad inizio 1999 Vermeil, insoddisfatto della precedente annata, smantella il roster dell’attacco: vengono rilasciati Bono e Banks, viene ingaggiato il QB coach dei Redskins Mike Martz e con lui arriva Trent Green, free agent; ad aprile viene imbastita una trade che porta nel Missouri il RB Marshall Faulk per una seconda e quinta scelta, e viene draftato il ricevitore Torry Holt alla sesta assoluta. Warner guadagna la posizione di backup QB.
La pre-season del 1999 segna la svolta: contro San Diego, Trent Green viene colpito al ginocchio dal lato cieco. Crociato anteriore: stagione finita. Vermeil avverte che St. Louis viene già data come perdente, malumore ed ironia serpeggiano tra i tifosi ed i media riguardo la scelta di non tornare a cercare quarterback che offrano maggiore sicurezza di uno che viene dall’Arena ed ha lanciato meno di una dozzina di volte in vita sua tra i pro. In conferenza stampa è semplicemente lapidario:

“We’ll rally around Kurt Warner and we will play good football”

Non sta scherzando, così come non scherza Martz che, perso il figliol prodigo, si mette al lavoro su Warner.
Baltimora, Atlanta, Cincinnati. Cosa hanno in comune queste tre franchigie? Sono gli agnelli sacrificali che finiscono nelle grinfie dei Rams nelle prime tre week. Warner registra 9 TD, 3 per partita, siglando il record NFL per uno starter debuttante. Alla quarta domenica arrivano a St. Louis i San Francisco 49ers, vincitori 12 volte negli ultimi 13 anni della Division, e in 17 degli ultimi 18 incontri. San Francisco viene asfaltata andando al riposo 28-10, e terminando l’incubo 42-20, Warner chiude con 5 TD, che diventano 14 nei primi 5 match stagionali, qualcosa che fa letteralmente impazzire i media. Sports Illustrated titola“Who Is This Guy?” prima della gara con Cleveland.
La regular season si rivela un sogno ad occhi aperti: dopo due sconfitte in trasferta contro Tennessee e Detroit, St. Louis vince, vince, vince sempre. Viene sconfitta giusto l’ultima gara, ininfluente ai fini della classifica, con Philadelphia.
I Rams chiudono la stagione con più di 500 punti fatti, un’enormità, Warner ferma le statistiche a 4.353 yard lanciate, 41 TD, 65,1% di completi.
The Greatest Show on Turf 
Il termine “Greatest Show on Turf” non viene usato per i Rams fino a diverse settimane dopo l’inizio della stagione 2000; inizialmente il soprannome per quei Rams così travolgenti era stato “The Warner Brothers”, un gioco di parole che faceva riferimento agli studi cinematografici.
La prima apparizione del termine arriva grazie a Chris Berman di ESPN, che stava preparando il pezzo televisivo sulla vittoria 57-31 sui San Diego Chargers: “Forget Ringling Brothers; the Rams are the Greatest Show on Earth”, che poi nelle successive settimane si modifica ed “Earth” viene rimpiazzato da”Turf” per indicare la superficie di gioco artificiale del Trans World Dome.
Oltre a Warner, ci sono il RB Marshall Faulk, NFL Offensive Player of the Year per tre anni consecutivi, dal 1999 al 2001, Isaac Bruce e Torry Holt, nonché Az-Zahir Hakim e il veterano Ricky Proehl. Insieme formano il nucleo dell’unica squadra nella storia della NFL a segnare più di 500 punti in 3 stagioni consecutive.
Grande merito va all’Offensive Coordinator Mike Martz che ha implementato un grande mix di attacco aereo e corse, originariamente ideato da Sid Gillman e successivamente affinato a San Diego State da Don Coryell, che l’aveva poi fatto sbarcare in NFL dove Zampese, ex OC dei Rams, lo aveva passato a Martz. Gli elementi che lo componevano non erano banali e di facile esecuzione: stretchare la difesa con cinque ricevitori potenziali sulla larghezza del campo, frequenti movimenti pre-snap e shiftate, backfield spesso vuoto, abbondanza di screen pass, draw e play-action per rallentare l’azione delle unità avversarie di pass-rushing.
Per tutto questo ci vuole un QB con rapidità di esecuzione, una meccanica veloce e capacità decisionale ancora più rapida. Warner viene dall’Arena Football, un gioco per schizzati dove succede tutto a trecento all’ora e le partite sembrano flipper impazziti, a suo avviso il gameplan offensivo dei Rams non era che un’estensione ed un affinamento di quanto succedeva in Arena.
Arrivano i playoff. Tutti sono curiosi di vedere cosa succederà a questa macchina da guerra in oro/blu. E il biglietto da visita è presto recapitato: snap, Warner per Isaac Bruce, 77 yard più avanti arriva il TD. Ma la partita non è per nulla facile e Minnesota ha un attacco temibile che porta i Vikings a guidare 17-14 nell’intervallo lungo. St. Louis nella seconda frazione letteralmente esplode, segnando 35 punti consecutivi tra il terzo e l’inizio del quarto quarto. Il tentativo disperato di Minnesota di recuperare il gap va a vuoto. 49-35, la giostra va negli spogliatoi a festeggiare la possibilità di giocarsi il Championship in casa contro i Bucs.
Tampa Bay sale a St. Louis il 23 gennaio con la fama di essere una squadra difensivamente fortissima. L’attacco di casa fatica, i Bucs vanno avanti e la difesa dei Rams, in tante occasioni in ombra, sfoggia una prestazione da urlo e tiene la banda di Vermeil in gara. Il 6-5 per Tampa nel quarto periodo è frutto di tre field goal e di un orrendo snap che i Bucs pagano con una safety. A quattro minuti dalla conclusione, ultimo assalto al fortino della Florida, Warner lancia su Ricky Proehl, fino a quel momento sconosciuto e senza TD, tra due avversari, Proehl guizza via dal panino come una salsiccia troppo unta, afferra la palla e segna il TD decisivo. St. Louis impazzisce.

I Rams vanno al Super Bowl

Il Georgia Dome aspetta i Tennessee Titans ed i St. Louis Rams. Entrambe le squadre sono memori della vittoria dei Titans in RS: sono una squadra ostica ed estremamente compatta in difesa. Nel primo tempo Warner lancia e le prende, lancia e le prende, lancia e le prende: al riposo lungo si storce un po’ il naso, 9-0 frutto di tre field goal. Nel primo drive della ripresa i Rams bloccano un lungo field goal di Tennessee e sul capovolgimento di fronte, trovano la endzone finalmente, Torry Holt porta St. Louis avanti 16-0. Il problema è che i Rams si spengono, e Tennessee si accende dopo aver visto uscire per un grave infortunio Blaine Bishop.
La gara riprende dopo il lungo stop per soccorrere Bishop. I Titans segnano ma falliscono la conversione da due, poi segnano ancora, poi forzano un three-and-out e pareggiano con un field goal a due minuti dal termine.
Iniziano 120 secondi a dir poco spasmodici: palla ai Rams sulle proprie 27, Martz chiama a Warner un 999, una specie di Hail Mary con 4 ricevitori in endzone, il lancio parte un istante prima che Jevon Kearse arrivi a mettere le mani addosso a Warner che è completamente inerme dopo il rilascio, la palla arriva nelle mani di Bruce 73 yard più avanti: touchdown Rams, 23-16 dopo la trasformazione.
L’attacco va in panca, i Titans si giocano tutto in meno di due minuti, all’ottavo gioco di quel drive, McNair salta come un capriolo fuori dalla tasca evitando due placcaggi e trovando un ricevitore, mancano sei secondi alla fine e Tennessee ha un altro gioco. Vermeil sulla sideline mastica impaziente tutto chinato in avanti sulle ginocchia, allo snap McNair ancora prova a trovare da solo un varco con lo sguardo, poi decide il lancio su Dyson, Mike Jones quasi lo perde ma si allunga a placcarlo, Dyson cade, allunga il braccio con l’ovale in mano, si allunga verso la endzone e tocca terra.
Il cronometro segna zero, c’è un attimo di nulla che sembra eterno, poi il segnale dei referee.
Corto.
I Rams vincono il Super Bowl, Vermeil alza le mani non più di tre o quattro secondi dicendo “Wohoho let’s go, we win. We’re World Campion”, fermo come un paletto a bordocampo, poi le riabbassa, sorpassato dai 42 in sideline e da tutto lo staff. Warner segna il record di tentativi di passaggio in un SB senza intercetti (45), e di yards passate (414), è il MVP della gara, guarda il Lombardi Trophy con quella faccia da uno che sa di meritarselo.
Sul palco, Vermeil lo abbraccia, come un figlio, dicendogli “You’re special!”, loro due sono tra i protagonisti del ritorno al titolo di St. Louis dopo quasi mezzo secolo.

Dopo il Super Bowl: l’era Martz

La stagione 2000, in cui Martz è promosso HC dopo l’addio di Vermeil, sembra iniziare sotto il migliore degli auspici: Warner pareggia il record di Steve Young con 6 gare da più di 300 yard di passaggio, che fruttano 19 TD. Però una frattura alla mano lo mette fuori per le partite di metà stagione, Trent Green lo sostituisce da par suo ed il duo di signal caller segna il record di yard passate in una singola stagione da una franchigia, con 5.492. La difesa però è molto meno curata e non ha la spinta dell’anno prima. Jones, l’uomo del tackle a Dyson a quattro pollici dalla endzone, non c’è più, e i Rams subiscono puntualmente più di venti punti ad incontro ad esclusione della gara contro Carolina (16-3). Il record finale di 10-6 permette comunque di andare ai playoff, ma il teatro della gara è il Louisiana Superdome, a detta di tutti un terreno che è come un dodicesimo uomo per i Saints. New Orleans vince 31-28, Warner si carica di tre intercetti e un fumble, ed i campioni in carica dicono addio al bis. In offseason la difesa viene completamente smantellata, e Trent Green viene tradato a Kansas City, a testimonianza di quanto di creda in Warner.
Con questi auspici, Kurt nel 2001 infiamma di nuovo i tifosi: una stagione senza nessun problema fisico, con 4.830 yard passate e 36 TDs. Per il terzo anno di fila i Rams iniziano 6-0 segnando il record della NFL. Solo New Orleans ed i campioni uscenti di Tampa Bay riescono ad avere la meglio contro St. Louis, che si presenta con una difesa decisamente più arcigna e funzionale al grande attacco imperniato ancora su Warner e Faulk.
Nella prima gara di playoff contro i Packers, Warner con due passaggi da TD mette in ombra Favre, autore di tre pick six. I Rams volano al Championship 45-17, annichilendo uno degli attacchi più quotati della lega.
A St. Louis scende Philadelphia guidata da McNabb, una squadra dalla difesa blindata che in tutta la stagione non ha subito più di 21 punti per gara. All’intervallo lungo gli Eagles guidano 17-13 ed hanno concesso un solo TD ai Rams per un fumble di McNabb riportato in endzone poco dopo. St. Louis gioca un terzo quarto strepitoso, con un FG di Wilkins ed una corsa di Faulk che replica ad inizio ultimo quarto. 29-17, fine dei giochi? Assolutamente no, gli Eagles trovano il 29-24 e recuperano palla a 2’20” dalla fine, ma in ben due possessi non riescono a trovare la via della segnatura. I Rams sono di nuovo al gran ballo finale.
Di fronte ci sono i Patriots di Belichick, che inizialmente erano stati guidati da Bledsoe, ma che ora hanno in cabina di regia un biondino che fa Tom di nome e Brady di cognome. Il problema di Warner non è Tommy ma una secondaria che manda perennemente i CB a blitzare, tra cui anche il più forte della Lega, Ty Law. Kurt mette assieme 365 yard ma anche due intercetti, i Pats si portano su un non troppo rassicurante 17-3 e su un fumble praticamente sulla linea di meta segnano ritornando 97 yard per il 23-3; c’è però una flag a terra. Holding difensivo, St. Louis dopo la grande paura impone il suo ritmo fino a pareggiare 17-17 a 1’30” dalla fine. Madden in cabina di commento la spara dicendo che NE dovrebbe far passare il minuto e mezzo e andare all’OT, ma Belichick non è dello stesso avviso e Vinatieri, a tempo scaduto, mette tra i pali il FG da 48 yard che fissa il punteggio sul 20-17. Primo titolo per i Patriots.
Per i Rams, per quegli spettacolari arieti che hanno terrorizzato le difese NFL negli ultimi tre anni, il colpo è terrificante e, in testa a tutti, sembra che ne soffra anche Warner. Kurt ha 31 anni, inizia la stagione 2002 giocando molto sotto tono e infortunandosi ancora. Marc Bulger letteralmente gli ruba il posto con prestazioni che gli valgono due convocazioni consecutive al Pro Bowl. Nel 2003 Kurt è titolare solo in due occasioni.
I Rams lo tagliano ad inizio 2004.
Sono gli affari, bellezza.

Da St. Louis ad Arizona, via New York

I Giants lo firmano per affiancare Eli Manning, su cui hanno puntato tutto: arrivato dopo una costosa trade con i Chargers, viene spedito in campo da Week #10 rimpiazzando Warner, che aveva portato NY ad un onesto 5-4. New York finisce 6-10 lontano dai playoff, Warner viene di nuovo tagliato.
Fine dei giochi. I Cardinals lo mettono a roster pensandolo come traghettatore verso un nuovo QB da draftare l’anno successivo. La squadra mette assieme un modestissimo 5-11, ma l’attacco su passaggio è il migliore della Lega con più di 4.400 yard lanciate. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, e si guadagna un’estensione di altri tre anni.
Il 2006 inizia con Warner titolare e Leinart, Heisman 2004 e decima scelta assoluta, backup, ma alla terza, dopo la vittoria contro Frisco e la sconfitta a Seattle, Leinart passa titolare, ma non sembra brillare più di tanto, Arizona finisce di nuovo 5-11. Green insiste nel puntare su Leinart ma Warner è più concreto, alla fine Green viene licenziato e viene assunto come Head Coach Ken Whisenhunt.
Nel 2007 c’è ancora tira e molla, ma Leinart è ancora amorfo, di conseguenza dopo l’8-8 finale, Coach Ken decide: avrà anche 37 anni, ma Warner è il miglior mirino di Arizona per centrare le mani di gente come Boldin e Fitzgerald.
Le nove vittorie di stagione regolare bastano per portare a casa la NFC West 2008 davanti a San Francisco ferma a 7-9. E’ una Division che molti ritengono mediocre, vinta da una squadra in cui brilla solo un attacco esplosivo che sfrutta la coppia di ricevitori da urlo che si ritrova ed il “vecchio ragazzo” che li imbecca: Warner chiude l’anno con 4.583 yard su passaggio e 30 TD, grazie ai quali tiene a galla una squadra con una delle peggiori difese della Lega. Sulla carta Atlanta, rivale di Wild Card, li dovrebbe sbranare.
A Glendale succede invece il contrario delle previsioni, e dire che la partenza non è delle migliori quando nel secondo quarto Boldin, nell’azione del 14-7, si fa male dopo aver chiuso la ricezione da Warner e termina anticipatamente l’incontro; Atlanta va al riposo lungo 17-14. La difesa insperatamente tiene ed addirittura fa punti quando Antrel Rolle recupera un fumble di Turner e lo riporta in TD ridando il vantaggio a Arizona. Warner non riesce ad andare ancora a tabellone ma una corsa di Hightower ed una safety tengono lontana Atlanta.
30-24, i Rams andranno a Charlotte.
Anche contro i Panthers, trionfatori della NFC South e detentori del miglior record della NFC, sembra non ci debba essere partita secondo gli analisti: Carolina è 8-0 nelle partite in casa, St. Louis è 0-5 nelle gare sulla East Coast. Eppure in Week #8 la partita era finita 27-23 per Carolina, non certo una piallata. Warner si ritrova di fronte colui che era stato suo backup ad Amsterdam, Jake Delhomme. Vanno avanti i Panthers ma Warner trova Hightower per il pareggio, poi Arizona passa in vantaggio 20-7 e Warner trova ancora, prima del riposo lungo, Fitzgerald per il 27-7. Il secondo tempo è delle difese, Arizona aggiunge sei punti con due FG portandosi 33-7, Carolina non riesce a rispondere e Delhomme è intercettato cinque volte oltre a commettere un fumble. Per i Panthers è una disfatta, non certo mitigata dall’ultima segnatura che fissa la gara sul 33-13. Vincono ancora i Cardinals, grazie al mix dell’attacco e dei turnover di una difesa completamente rigenerata.
Grazie alla vittoria sui Giants, Philadelphia consegna il vantaggio campo ad Arizona per il Championship NFC. A Glendale i Cardinals partono sparati e Warner trova tre volte Fitzgerald, gli Eagles riescono a rispondere solo su piazzato, il riposo lungo segna 24-6 per Arizona. Ma nella ripresa è Philadelphia che diventa padrona del campo, trovando tre volte la via della segnatura: è il TE Celek a dare spettacolo catturando due passaggi di McNabb, ed il sorpasso arriva con un lancio da 62 yard per un giovanissimo DeSean Jackson. 25-24 Phila, che prova la conversione da due per evitare di soccombere in caso di FG, ma il tentativo fallisce. Va a buon fine invece quella di Warner per Patrick, dopo un nuovo passaggio da TD per Hightower, Arizona si porta 32-25 e poi difende, costringendo McNabb a quattro incompleti e dandogli l’ultimo pallone a 7 secondi dalla fine, deviato fuori da Darnell Dockett.
La presenza di Arizona al Super Bowl di Tampa, ribattezzato “Recession Bowl” perchè in piena crisi dei mutui subprime, è così improbabile che chiude un articolo di presentazione del SB con la domanda “Will the Cards shock the world by winning Super Bowl 44?”, la frase “shock the world” diventa il mantra che Warner ripete ai compagni, incitandoli ad inseguire l’obiettivo impossibile del titolo.
Non dico nemmeno per chi sono i pronostici. E gli Steelers vanno al riposo lungo con un vantaggio di dieci punti, frutto anche di un intercetto di Warner in situazione di goal line ritornato in TD da James Harrison a tempo scaduto. Il terzo quarto vede Arizona ancora senza segnature, in compenso Pittsburgh incrementa a 20-7 il vantaggio con un FG di Reed. Ma nell’ultimo quarto Arizona è un’altra squadra: Warner trova Fitzgerald due volte e nel mezzo arriva un Holding dentro la endzone che regala due punti di safety. 120 secondi, Arizona conduce 23-20. L’ultimo possesso però è degli Steelers, e Ben Roetlisbergher imbastisce un drive a dir poco memorabile che porta l’anello a Pittsburgh. Warner dalla sideline può solo guardare, e rimanere profondamente deluso da questa possibilità volata via: riportare il titolo NFL ai Cardinals dopo più di sessant’anni.
L’onda emotiva che aveva sorretto Arizona sembra ritirarsi, lasciando rispuntare i difetti di una squadra a trazione anteriore. Warner firma per altri due anni e continua a far macinare l’attacco come una ruspa, il 20 settembre segna un 24/26 con 243 yard e 2 TD, che vuol dire la miglior percentuale di passaggio della storia della NFL, ma la difesa dei Cardinals torna a “fare schifo”. L’inizio è incerto (1-2 nelle prime tre gare) ma poi Arizona guadagna di nuovo un posto ai playoff con un record di 10-6. In postseason a Glendale scende Green Bay, che in quello stesso stadio una settimana prima aveva asfaltato Arizona 33-7. Ne esce un WCR a dir poco spettacolare, vinto all’overtime dai Cardinals 51-45, Warner registra un rating di 154.1, secondo più alto di sempre nei playoff. E Arizona stacca il biglietto per il Divisional al Louisiana Superdome.
Ma qui la strada si interrompe: New Orleans è forte, a tratti fortissima, e Arizona non tiene il passo, la difesa sbanda: il 45-14 finale ne è la dimostrazione. Gli enormi problemi mostrati dalla difesa non si possono risolvere in un anno, Kurt Warner ha 38 anni e, nella sua carriera, ha preso un treno di botte. Le tante prese dai Saints in quella ultima gara che lo ha costretto addirittura a fermarsi in sideline a rifiatare, sono solo l’ultima di tante dosi. La decisione viene comunicata da Warner in una conferenza stampa il 29 gennaio.

“I’ve played 12 years, I’m 38 years old and I believe I was playing at as high a level now and over the last two years as I was playing when I first got into the league, that’s something I’m proud of.” 

Chiamando sul palco la moglie Brenda ed i sette figli, ha un pensiero che ha molto di quello che porta dentro:

“Every day I come home and it doesn’t matter if you won or lost or have thrown touchdowns or interceptions, the one thing that I always knew is that when I entered that door, when I stepped in our house, that none of that mattered to these guys. I can’t tell you how much of a blessing that is.”

E conclude con “it’s been an amazing ride”.
Quanto è stato vero, Kurtis da Cedar Falls.

Un GRAZIE infinito a Diego Antonini aka Warner75