Justin Forsett al microfono di Marco Santagostino

Innanzitutto vorrei ringraziare ENDZONE per avermi dato la possibilità di pubblicare questa intervista. Allo stesso modo, vorrei ringraziare i Baltimore Ravens per la disponibilità e la professionalità dimostrata, in particolare Patrick Gleason che ha risposto alle mie cento email J Ovviamente un grazie anche a Justin Forsett per il suo tempo. Ultimo ma assolutamente non meno importante (anzi!!!) un grazie al compagno d’avventura Steve!!!!

 

D: So che sei infortunato (e quindi non puoi partecipare direttamente agli allenamenti) ma puoi spiegarmi come si prepara la squadra ad affrontare un team come i Seahawks? Cosa cambia da una settimana all’altra nella preparazione?

R: Per quanto riguarda il playbook, ogni avversario ti porta ad utilizzare degli schemi diversi, per cui vengono effettuate delle piccole variazioni. Ma, per la maggior parte, si cerca di dare un’identità al proprio gioco all’inizio della stagione, che tipo di squadra sei, cosa vuoi fare in campo e di attenersi il più possibile a questa identità durante tutto l’anno.

D:  Come fa la squadra ad affrontare e sopportare tutti gli infortuni che avete avuto quest’anno e qual è l’impatto di questi infortuni sulla preparazione della partita?

R: Nel nostro team abbiamo un modello, chiamato “next man up” (letteralmente “avanti il prossimo” ndt) secondo il quale il backup, chiunque esso sia, deve prendere il posto del titolare, e da lui ci si aspettano gli stessi risultati. E così abbiamo fatto… sai, è stata dura… ma gli altri ragazzi sono entrati in campo e hanno dato il massimo rivelandosi molto importanti per la squadra.

D: Quali sono le giocate/fasi del gioco che pensi potranno spostare l’equilibrio del match, in un senso o nell’altro?
R: Spesso sono i turnover, chiunque vinca la battaglia dei turnover di solito porta a casa la partita… sarà sicuramente una fase importante del match… Del resto Seattle è molto brava a rubare palla. Inoltre, penso che gli special teams saranno un fattore importante, dato che attualmente noi siamo al primo posto come ST, mentre i Seahawks hanno un giocatore importante e pericoloso, il ritorntore Lockett, per cui penso che anche questa sarà una fase di gioco importante della partita.

D: Una domanda un po’ più personale: in base alla tua esperienza, la sensazione di giocare un partita NFL cambia nell’arco della carriera? O senti sempre lo stesso brivido che hai sentito quando hai messo per la prima volta piede su un campo NFL? E come si differenzia da una partita NCAA?

R: Sai, il college è diverso. Senti sempre la stessa spinta emotiva uscendo da quel tunnel, sia che giochi in un ambiente ostile sia che giochi in casa. Ma l’NFL… è la crème de la crème, è quello che sognavi da bambino, guardando giocatori come Emmit Smith, Barry Sanders… giocatori che ammiravi e che erano i tuoi idoli. E ti ritrovi lì, dove hai sempre voluto essere e in parte, ogni volta, ti porta indietro con la memoria. Io so che quando sono sotto quel tunnel, sento una profonda gratitudine, per me è una benedizione uscire da quel tunnel, poter indossare le scarpe da gioco e il caso. È sicuramente una benedizione e voglio approfittarne il più possibile!

D: Quali sono le differenze principali tra giocare per coach Carroll e giocare invece per per coach Harbaugh?

R: (ride) Le differenze principali…

D: Ho scelto Coach Carroll perche è stato l’allenatore per cui hai giocato più a lungo in NFL, a parte i Ravens…

R: Ho avuto Coach Carroll per un paio di anni a Seattle, è molto giovane di spirito, pieno di energia, sempre a correre su e giù per la sideline… è uno di quelli che incita sempre la squadra prima e dopo la partita. In parte anche Coach Harbaugh è così, ma lo vedo più come un insegnante. Anche Coach Carroll insegna ma è più un motivatore. Harbaugh è un ottimo studioso del gioco, cerca sempre di capire come vincere il prossimo match, quale può essere il piccolo vantaggio (che farà vincere i Ravens, ndt). Ha un approccio piu “cerebrale” al gioco, in un certo senso.

D: Da piccolo, in che posizione sognava di giocare Justin Forsett?

R: Running Back!

D: Hai iniziato da RB e hai sempre giocato in quel ruolo?

R: Sì!

D: Ma allora la domanda era facilissima!

R: Davvero, ho giocato un po’ anche in difesa ma, in attacco, sempre e solo Running Back!

D: Chi era il tuo giocatore preferito da bambino?

R: Barry Sanders dei Detroit Lions. Il suo poster è stato il primo che ho avuto. Ricordo che ero andato a fare compere con mia mamma e le ho chiesto se potevo comprarlo. Mi disse di si e così lo appesi al muro. Il poster diceva “Barry Sanders – Uomo o Macchina?”. Era esaltante vederlo giocare, ad ogni azione sapevi che poteva andare fino in fondo e segnare.

D: E la tua squadra preferita da bambino?

R: I Cowboys. Mio papà era un tifoso dei Cowboys e mi ha contagiato. Avevano molto successo all’epoca, con Troy Aikman, Michael Irvin, Emmitt Smith… fu una scelta molto facile!!!

D: Hai un rito prepartita?

R: Non esattamente… Prego sempre prima di una partita, ascolto sempre un po’ di musica…

D: Che musica?

R: Gospel. Non sono il tipo che parla molto prima del match… Cerco di trovare un po’ di calma interiore, di concentrarmi sul fatto che andrà tutto bene in ogni caso, che Dio ha un piano per me. Vada bene o male, che faccia fumble o segni un touchdown, andrà tutto bene.

D: Puoi raccontarmi qual è il rito prepartita più strano o divertente in cui ti sei imbattuto in carriera? Se puoi anche dirmi chi era il protagonista… (ridiamo entrambi, ndr)

R:  In tutta la mia carriera? C’era questo giocatore… Io non facevo parte della squadra… Non ho mai giocato con lui…. Hai visto “Hard Knocks”? C’era questo defensive lineman, come si chiamava… non ricordo il nome…

D: Di che squadra?

R: Giocava nei (Jacksonville) Jaguars. Prima della partita raggiungeva un preparatore atletico fuori dallo spogliatoio, si faceva schiaffeggiare in faccia il più forte possibile, e poi gridava “Aaaaah! Ora sono pronto!!!”. Vedere una cosa del genere… è stato abbastanza strano! Credo proprio che questa sia stata la cosa più strana che ho visto a livello NFL per quanto riguarda i riti prepartita.

D: Quali sono secondo te le cause dietro al forte declino nell’efficacia delle corse rispetto alla scorsa stagione? L’anno scorso il running game era la parte principale dell’attacco, mentre quest’anno non funziona molto bene.

R: Credo sia una questione di situazioni di gioco, l’anno scorso riuscivamo a portarci subito in vantaggio, a battere gli avversari con grossi scarti e ciò ci permetteca di correre di più per far scorrere il tempo più velocemente. Quando invece sei sempre punto a punto o sei indietro nel punteggio, il tempo di gioco è fondamentale per cercare di recuperare, quindi ricorri di più al passing game, perché è più vantaggioso. Credo però che possiamo fare meglio a inizio partita, possiamo correre meglio in quei frangenti, cercando di guadagnare subito molte yards su corsa in modo che più corse possano essere chiamate con l’avanzare della partita.

D: Come si affronta un infortunio che mette fine a una stagione? Come riesci a non pensare al fatto che daresti tutto per essere sul campo ad aiutare la squadra? Tra l’altro non è la prima volta per te, giusto?

R: Si, sono già stato in questa situazione, mi sono rotto il piede quando giocavo a Jacksonville. Ovviamente vorresti essere in campo a batterti per la squadra, ho lottato duramente l’anno scorso e quest’anno per avere l’opportunità di essere il RB titolare e dimostrare quello che so fare. Quando poi ti infortuni… fa schifo, fa davvero schifo!Però credo fermamente che tutto accada per una ragione, per cui sto affrontando di slancio questa situazione. Quando non sono qui (alla training facility dei Ravens, ndr) a recuperare e a fare riabilitazione, sono a casa e posso passare un po’ di tempo con i miei bambini. Riesco a essere parte della loro vita, ad aiutarli a imparare a leggere e a scrivere. È una sensazione agrodolce, perché comunque mi vedono poco durante la stagione mentre ora la cosa bella è che possono vedermi più spesso, capisci? Inoltre, posso aiutare i giocatori più giovani, come Buck Allen che al momento è il RB titolare, o Lorenzo Taliaferro, che è stato messo in IR quest’anno, che cerco sempre di incoraggiare. Per cui c’è un ruolo per me anche se sono in IR.

D: Con la prossima domanda ti farò ridere: hai mai pensato di venire oltreoceano a fine carriera?

R: A giocare?!?! (ride)

D: Sì! Tipoil romanzo di Grisham “Il Professionista”, in cui un ex-giocatore NFL si ritrova a vivere un’incredibile esperienza nel football italiano!

R: Davvero? Sai, è difficile… è il mio ottavo anno da professionista, e con lo stress del doversi muovere con la famiglia di squadra in squadra, di città in città, sarebbe davvero dura andare oltreoceano…

D: Però troveresti del cibo fantastico!!!

R: Sì, è vero, me ne hanno parlato!

D: Facciamo un gioco veloce, l’ho chiamato “The Drive”. Potresti definire in 4 parole (ognuna corrispondente al 1st, 2nd, 3rde 4th down) cosa significa per te giocare a football?

R: OK… come primo down ti direi il “ministero”, la possibilità che mi da di avere un forte impatto sulle persone, è una cosa importantissima nel football. Abbiamo questa piattaforma che mi permette di andare ad aiutare le persone che hanno bisogno, aiutare la comunità, i miei compagni di squadra. Ricordo quando ero a Jacksonville ed ero in IR perchè mi ero rotto un piede, avevo potuto aiutare questa famiglia la cui casa era stata divorata da un incendio. Oppure, avevo organizzato una sorta di meeting in municipio durante il quale alcuni giocatori vennero a parlare per condividere la loro testimonianza, come sono riusciti ad arrivare a quel punto della loro carriera e a incoraggiare le persone presenti. Sono queste le cose che mi ha dato il football e che, per me, dureranno per sempre.

Numero due… direi amore, l’amore per il gioco. Scendere in campo e segnare dei touchdown è fantastico. Niente al mondo è come andare su un campo ostile, in “territorio nemico”, tipo andare a Pittsburgh. Niente è come una partita Ravens vs Steelers. Vai a Pittsburgh e, quando arrivi, sei accolto dai “Buuuuh” dei tifosi. Anche sul Pullman, mentre entri allo stadio, la gente ti mostra le chiappe, si abbassa i pantaloni e ti mostra le chiappe, ti fanno il “dito medio”, tirano le uova contro il Pullman… è una cosa FOLLE! Adoro questo lato del gioco, trovo esaltante andare in un ambiente così ostile. È decisamente uno sport divertente da giocare.

Il terzo down… vediamo… Mi permette di prendermi cura della mia famiglia. È un lavoro, per me, è qualcosa che amo fare ma pur sempre un lavoro. È qualcosa a cui ho dedicato la mia vita e grazie alla quale sono in grado di prendermi cura della mia famiglia e delle persone a me vicine.

Quarto down. È in qualche modo legato al primo down, ma è la possibilità che mi da di coltivare il cambiamento. Se un genitore a casa va dal figlio e gli dice “Non fare questo” oppure “Fai così”, “fai i compiti”, per sprinarlo a crescere come individuo… è probabile che ai ragazzini “entri da un orecchio ed esca dall’altro”. Ma se è un atleta, se è un giocatore NFL, ad andare a scuola o a casa loro e a dirgli “Hey amico, fai i compiti, non drogarti, stai alla larga dai guai, lavora sodo”… I ragazzini sono più recettivi.

D: Certo, perché gliel’ha detto Justin Forsett!

R: È davvero così, sai? Se arriva J.J. Watt e dice qualcosa a dei ragazzini, questi se lo ricorderanno per tutta la vita. Quindi anche la possibilità di coltivare il cambiamento ed avere un impatto sulla vita delle persone è un altro grande “benefit” che mi da il football.

D: OK, abbiamo finito. Grazie del tempo che mi hai dedicato Justin!

R: Grazie a te!

 

[Marco Santagostino]