This one’s for Pat!
Ci sono voluti 17 anni e più di una cocente delusione per tornare in cima al mondo del football, ma oggi i DenverBroncosci sono tornati e con pieno merito.
Un titolo arrivato a apparentemente a sorpresa, tra lo scetticismo generale se non addirittura con la palese mancanza di rispetto di molti cosiddetti analisti, anche rinomati, che non sono stati in grado di riconoscere l’eccezionale cammino di questa squadra durante questa stagione. Una squadra che ai playoffs avrebbe dovuto essere sconfitta dagli Steelers, asfaltata dai Patriots e ridicolizzata dai Panthers.
I protagonisti di questa straordinaria cavalcata sono stati molteplici, ma credo sia giusto identificare alcuni degli uomini che hanno determinato un successo tanto meritato quanto straordinario.
John Elway
Siamo sempre lì, senza questo incredibile personaggio i Broncos oggi sarebbero come minimo irrilevanti e sicuramente perdenti. Dopo aver condotto da giocatore la squadra a cinque Super Bowl, vincendone due, Elway prende in mano le redini della franchigia nel 2011. Eredita una squadra ed un front-office in macerie dopo l’ignobile regno di JoshMcDaniels; nel giro di poche settimane ristruttura la dirigenza, tagliando i rami secchi e assumendo personale di assoluto valore, sceglie Von Miller nel primo draft in cui è impegnato e la squadra passa dal record di 4-12 nel 2010 a vincere con 8-8 la AFC West nel 2011. In cinque anni di free agency acquisisce giocatori del calibro di Peyton Manning, WesWelker, EmanuelSanders, Owen Daniels, Louis Vasquez, EvanMathis, Demarcus Ware, T.J. Ward, AqibTalib e Darian Stewart. Nel corso dei cinquedraft da lui diretti acquisisce Malik Jackson, Derek Wolfe, Sylvester Williams, Bradley Roby, Danny Trevathan.
Dopo aver perso pesantemente il Super Bowl 48 e dopo una stagione 2014 comunque positiva, si prende la responsabilità di esonerare John Fox, che pure aveva fatto un lavoro eccellente chiudendo la sua carriera ai Broncos con quattro apparizioni ai playoffs e l’incredibile record di 46-18 in quattro regular seasons, attirando su di sé i giudizi più spietati. La sua famosa critica in cui sosteneva che i Broncos avessero perso gli ultimi playoff senza “kicking and screaming”, ovvero senza strepitare e fare di tutto per non perdere, ancora una volta aveva colto nel segno. Era difficile pensare che uno dei migliori QB di sempre potesse diventare anche uno straordinario GM.
Gary Kubiak
Quando un head coach prende in mano una squadra che ha sfiorato la vittoria nelle precedenti tre stagioni, la pressione di migliorare un lavoro già eccellente è altissima e potrebbe stritolare chiunque. Gary Kubiak, backup di Elway da giocatore, e OC di Elway durante le due stagioni dei Super Bowl vinti, sembra essere immune da pressioni e condizionamenti.
Appena arrivato installa la famosa runheavyvariaton del west coast offense che ha portato al titolo i Broncos alla fine degli anni ’90 con Mike Shanahan, i risultati non sono esaltanti dato che il sistema mal si attaglia a Peyton Manning, allora studia ed elabora una specie di compromesso tra la vecchia e la nuova filosofia offensiva ottenendo discreti risultati.
A metà novembre però, durante una terribile sconfitta casalinga contro i Chiefs, si prende la responsabilità di panchinare una leggenda vivente il giorno del conseguimento del record ogni epoca di yards lanciate, per inserire un giovane ed inesperto QB più adatto alla sua filosofia, ottenendo buoni risultati nelle settimane successive. A metà dell’ultima giornata di regular season sciocca tutti reinserendo la leggenda vivente ormai data da tutti per finita, mentre l’attacco era in grande difficoltà, vincendo quella partita che permette ai Broncos di conseguire il numero uno nel seed della AFC.
Gli head coach sono profumatamente pagati per prendere decisioni difficili sotto pressione, ma quello che ha fatto Kubiak durante questa stagione ha pochi precedenti nella storia della NFL. Oltre a tutto questo Kubiak è il responsabile dell’assunzione di Wade Phillips come defensive coordinator.
Wade Phillips
Il fatto che il figlio del grande Bum non sia il miglior HC possibile lo ha sperimentato più di una squadra, tra cui proprio i Broncos, in passato, ma è altrettanto vero che Phillips è uno dei migliori DC della storia della NFL. Dopo aver plasmato negli ultimi trent’anni una serie di difese che ogni anno finivano inesorabilmente nelle prime dieci o addirittura cinque, Phillips quest’anno si è superato. La sua capacità di mettere in condizione i suoi elementi più talentuosi di fare la differenza, si è unita alla bravura con la quale ha letteralmente cresciuto i giocatori che fino allo scorso anno erano solo dei comprimari. Le prestazioni stagionali e soprattutto nei playoffs, inseriscono di diritto questa difesa tra le migliori della storia della NFL.
Per la cronaca, dopo essere stato licenziato dai Texans, la cui difesa grazie a Phillips era diventata una delle migliori della NFL, due anni fa, 21 (!) squadre hanno cambiato DC e nessuno prima dei Broncos ha pensato bene di metterlo sotto contratto.
Von Miller
Gli aggettivi per questo mostruoso atleta sono ormai finiti. 72 partite di regular season con 60 sack, eccezionale contro le corse, da quest’anno è diventato anche difficile da superare nel pass coverage, come anche Tom Brady ha constatato nei playoffs. E’ la faccia della franchigia, la sua straripante personalità e il suo incredibile talento fanno sì che già oggi, si può dire che resterà nella storia dei Denver Broncos, indipendentemente da ciò che succederà in futuro. La sua prestazione da MVP nel Super Bowl è il gioiello di una carriera ancora giovane, ma che lo ha visto sempre protagonista soprattutto nei momenti decisivi. Di certo la sua assenza due anni fa si sentì e come.
Peyton Manning
L’autocritica è sempre positiva a tutti i livelli, chi vi scrive, a metà novembre dopo la partita contro i Chiefs, scrisse una sorta di necrologio sportivo (link) che ancorchè basato su oggettive considerazioni, si è rivelato quanto mai prematuro.
Peyton Manning è stato uno dei più grandi QB di sempre e le sue straordinarie capacità hanno alzato l’asticella delle aspettative della critica e dei tifosi, come forse nessuno. Le fredde statistiche dicono che Manning ha guidato le sue squadre all’incredibile cifra di 27 partite di playoff, di queste ne ha vinte 14 con due titoli. Da solo questo dovrebbe bastare, al di là di tutti i record che detiene, per smontare qualsiasi tipo di astrusa critica che ingenerosamente negli ultimi anni gli è stata rivolta.
Senza volersiinerpicare troppo nella sterile polemica che ha consegnato alla storia Tom Brady, uno dei più grandi QB di sempre, come il sempre vincente e Peyton Manning come il sempre perdente nei playoff, si devono però constatare due cose che spesso vengono dimenticate.
Le squadre di Manning e Brady si sono scontrate nei playoff in quattro occasioni, per tre volte la squadra di Manning è uscita vittoriosa.
Nella stagione 2008 Tom Brady si infortunò durante la prima partita dell’anno e saltò tutta la stagione. IPatriots, che l’anno prima avevano concluso la stagione 16-0 e furono sconfitti solo al Super Bowl, nel 2008 con Matt Cassell (!) al posto di Brady finirono la stagione 11-5 mancando i playoff. Quando nel 2009 Brady tornò, i Patriots tornarono ai playoff con un record di 10-6.
Manning a causa del suo famoso e gravissimo infortunio al collo saltò tutta la stagione 2011. I Colts che nel 2010 conclusero la stagione con il record di 10-6, senza Manning dovettero cambiare tre QB nel 2011 finendo l’anno col poco invidiabile record di 2-14. Nel 2012 Manning, tagliato dai Colts, cambiò squadra città e sistema offensivo, ciononostante portò i Broncos dal record di 8-8 dell’anno precedente al record di 13-3. Queste considerazionidovrebbero far riflettere sul fatto che certe etichette mediatiche sono spesso basate più su semplificazioni giornalistiche che sulla realtà fattuale.
Pur non essendo chiaramente più il QB che è stato nella sua lunga carriera, Manning, dopo l’infortunio di quest’anno, ha avuto l’intelligenza di capire la situazione mettendosi a disposizione di un sistema offensivo che certo non lo ha favorito e l’umiltà di relegare sé stesso al ruolo di mero game manager illuminato, lasciando che questa straordinaria difesa lo portasse al suo secondo titolo.
Se, come pare, dovesse, come dicono gli americani, “walkinto the sunset”, tutti gli amanti di questo sport dovrebbero rendere omaggio ad uno dei più grandi giocatori di sempre, nonché ad un vero gentleman fuori dal campo.
Pat Bowlen
Nel 1984 quando PatBowlen acquistò i Denver Broncos da Edgar Kaiser per 78 millioni di dollari, in pochi pensavano che sarebbe stato un affare positivo, sia dal punto di vista economico che da quello sportivo. I Broncos non erano certo una delle franchigie più famose, ed esclusa la parentesi del 1977, la squadra era stata perlopiù deludente, se non proprio perdente. Dopo oltre trent’anni della sua proprietà i Denver Broncos valgono, secondo la rivista economica Forbes, 1 miliardo e 940 milioni di dollari, e hanno partecipato ad altri sette Super Bowl, vincendone tre.
L’unico rimpianto è che con ogni probabilità la terribile malattia di cui Mr. Bowlen soffre gli avrà impedito di rendersi conto a pieno della serata del 7 febbraio ed è anche per questo che non si può che convenire con John Elway: THIS ONE’S FOR PAT!
Ottimo articolo, sposo completamente le opinioni dell’articolista.
PS: Segnalo Von Miller che finisce nel paragrafo dedicato a Wade Phillips, ed il link al necrologio sportivo non funzionante.
Capisco il tifo e ok, le vittorie fanno apparire bravi e belli tutti, però dare a Manning del game manager illuminato mi pare un po’ troppo. Oltre all’intercetto, ricordo un paio di mozzarelle che per caso non si sono tramutate in altri intercetti per i drop dei DB dei Panthers. Ed in più altri lanci non degni di quello che è stato, anche a Denver, un qb come Manning, che ha avuto dalla sorte un contrappasso più che meritato nel vincere un Super Bowl, grazie alla difesa. Proprio lui, che spesso in carriera ha pagato difese non alla sua altezza. Credo fosse dalla notte dei tempi che una squadra non vinceva il Super Bowl con un attacco così inconsistente. E questo non toglie nulla alla legittimità assoluta del trionfo.