2013, oggi, domani…

Non vi racconterò della stagione sportiva del 2013, non mi dilungherò a raccontarvi del quarantennale, della chiamata, delle facce conosciute e di quelle nuove, dello sport, della festa, delle bandierine, delle pergamene (anche allo scriba) e di tutto un concentrato di emozioni.

Niente addii, niente the end. Soltanto un passaggio del testimone, dai pionieri al futuro.

Preferisco accostare la porta e lasciare parlare ancora una volta quelli che mi hanno accompagnato in questa parte del racconto infinito dei Gladiatori. Li ho incontrati di nuovo qualche giorno fa, a due anni dal quarantennale. A bocce ferme e a mente fredda. Tre ragazzi sul muretto (copy del Capitano).

Il microfono a Marcello “Rodmark” Rodi:

Quel 20 luglio di 35 anni fa, quando mi consegnarono la maglia blu e argento con il numero 60, ero curioso e frastornato: non avrei mai potuto immaginare cosa avrebbe significato in seguito per me quella maglia e quella squadra. Ricordo che entrai al “Vince Lombardi” e, guardando il campo segnato con le linee orizzontali ogni cinque yard, pensai “Cosa ci vorrà mai a fare 100 yard: è così piccolo…”. Poco dopo imparai che il football è la perfetta metafora della vita: avanzi a fatica, con grande sacrificio e dolore, e da solo non sei nessuno.

Fu anche questo a spingermi a rimanere con la squadra durante i due anni “sabbatici” forzati dall’AIFA di Gionni Colombo: il fortissimo senso di appartenenza che avevo sviluppato in quelle prime esperienze agonistiche insieme ai miei compagni. Ci allenammo tanto, e a spese nostre, e giocammo molto poco. E, paradossalmente, la mia ultima partita fu la prima giocata dai Gladiatori nell’AIFA: il derby con i Grizzlies. La mia vista minata da qualche “capocciata” di troppo e il servizio in difesa della Patria mi portarono presto lontano da quella squadra che tanto amavo. Ma non smisi mai di seguire la sua parabola, che decollò rapidamente verso il prestigio come una delle squadre più talentuose e temute del panorama nazionale, mentre la mia carriera militare mi regalava belle soddisfazioni.

Ma si sa, le parabole sono destinate a scendere dopo il loro apice, è nella natura delle cose: ed arrivarono i problemi, la crisi, la chiusura del 1999.

Ero ricoverato in ospedale nel 2004 per un delicato intervento alla schiena quando mi raggiunse la notizia: “I Gladiatori ripartono”. Stavo ripartendo anch’io, una ripartenza difficile e faticosa. Decisi che avrei aiutato la mia squadra, certo che quello avrebbe aiutato anche me.

Che dire? E’ un momento così ultimamente: io e i Gladiatori zoppichiamo un po’ insieme, sorreggendoci a vicenda, fiduciosi nel fatto che ci saremo sempre l’uno per gli altri, e viceversa.

“Barcollo, ma non mollo!”.

Buona anche questa, Marcè! Distillato d’amicizia.

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Ora passo il filo al Capitano, a Marcello Loprencipe.

“Mi chiedi di fare un bilancio, di racchiudere in poche parole il senso di questi quaranta tre anni di storia sportiva che fin qui hanno racchiuso un sogno. Voglio farlo ricordando il lavoro delle persone che sono state per lo più dietro le quinte, dunque non di giocatori o allenatori, ma di semplici appassionati, spesso genitori di ragazzi militanti nelle giovanili ed in prima squadra.

Persone generose come Pellito, Cavaliere, Fierli e Iacarelli, quest’ultimo poi, non aveva nemmeno un figlio che giocasse! Senza di loro, nominati non a caso, non ci sarebbe stato lo squadrone del decennio, quello tra la fine degli anni ’80 e ’90.

Che dire poi di Sandro Zehnder?

Più volte ricordato nel corso di quest’opera, poco incline a mettersi in mostra e a presenziare, ha raccolto nel corso del tempo più grattacapi che riconoscimenti eppure, resta incontestabile il suo contributo per oltre un quarto di secolo in favore dei Gladiatori.

Già, non mi è mai piaciuto tirare le somme, perché in fondo è come mettere un punto, porre un limite e a me i limiti non sono mai piaciuti, forse perché hanno in sé la fine delle cose.

Mi piace invece pensare che ci saranno tanti altri anniversari, di decennio in decennio e che arriveranno altri a festeggiare, dopo noi pionieri, perché ciò che realmente conta nei sogni non è solo avere la fortuna di poterli afferrare, ma quella ancora più grande di poterli lasciare in dono a quelli che arriveranno dopo di noi e dare così un senso alla nostra esistenza”.

Grazie Cap!

La storia continua… Ho appena lanciato la palla verso il narratore di domani.

Arrivederci e Ciao!

Fausto Batella, 13 luglio 2015